Anno nuovo, mercato finanziario nuovo. Cambiano i regolamenti del fintech, dopo anni di attesa, studi e applicazioni teoriche, il MiFid II è entrato in vigore nel 2018 portando in dote una ventata fatta di trasparenza e chiarezza. Sono in tanti ad aver atteso con curiosità il nuovo ordinamento che regolamenta il mercato finanziario nazionale sulla stessa lunghezza d’onda di quanto già accade nel resto d’Europa e finalmente ora anche i clienti potranno beneficiare di una serie di novità soprattutto grazie all’ausilio della tecnologia.
Come ogni novità che si rispetti, però, l’anno zero porta in dote anche una serie di dubbi e la difficoltà degli attori principali – ossia intermediari, consulenti finanziari e agenti assicurativi – ad adattarsi alle nuove norme. Sulla stessa lunghezza d’onda anche gli istituti che erogano fondi comuni e polizze, ora pressate da più direzioni – Europa, Italia e consulenti che rappresentano i clienti – per avere a disposizione prodotti trasparenti, in cui costi e spese di gestione siano esplicitati in maniera chiara, nonché per ottenere un maggiore controllo sugli asset attraverso l’utilizzo della tecnologia.
Il nuovo assetto riguarda anche le società di emanazione bancaria, che solo qualche anno fa si ritrovavano a gestire patrimoni ben più risicati. I dati della raccolta sono lampanti: 49,4 milioni di euro nel 2015, 105 milioni nel 2016 e 275,5 milioni di euro nel 2017. Una percentuale così ampia di miglioramento impone delle domande anche su come adattare il prodotto alla tecnologia: per abbattere i costi, non mancano gli esperimenti di disintermediazione, dai robo-advisor alla blockchain. Anche le Autorità di Vigilanza al momento brancolano nel buio nella speranza di riuscire a regolamentare il prima possibile le tecnologie che si presentano sul mercato. Ad avvantaggiarsi di questa situazione così in bilico potrebbero essere principalmente due protagonisti del mercato: i consulenti finanziari che già si erano adeguati alla nuova normativa proponendo un servizio indipendente dagli istituti eroganti e maggiormente in grado di soddisfare le necessità e il grado di rischio richiesti dal cliente, ma anche gli stessi clienti, che in questa fase attendono il prodotto ideale in grado di fornire maggiori benefici in termini di concorrenza, trasparenza, efficienza e contenimento dei costi.
Le novità non sono però finite qui, perché il MiFid II apre ulteriori strade. Poiché la forma di consulenza totalmente tecnologica non può avere le caratteristiche proprie di un umano – la percezione del rischio e la freddezza per suggerire un’azione in un momento particolarmente delicato – diverse società di consulenza stanno affiancando i due modelli, inserendo la tecnologia solo in fase di profilazione del cliente e in quella di monitoraggio dell’investimento. D’altro canto, la tecnologia fornirebbe vantaggio anche al consulente finanziario “in carne ed ossa”, che dallo studio dei dati forniti dai robot sarebbe in grado di fornire informazioni più dettagliate al cliente e quindi consigliarlo al meglio.
Più complicato da recepire è invece l’inserimento dei consulenti finanziari in un Albo unico entro il 2018, mossa che “consacrerebbe” la crescita delle forme indipendenti di consulenza, ma che al momento lascia più di qualche timore agli intermediari tradizionali.